Gli atti di recupero e gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate
L’art. 3, del D.L. n. 145/2013 prevede la possibilità per le imprese che investono nell’innovazione dei prodotti, dei servizi ovvero dei processi produttivi di ottenere un credito di imposta da poter utilizzare in compensazione.
La norma, tuttavia, non individua espressamente gli investimenti ricompresi nell’agevolazione, con conseguenti difficoltà interpretative da parte dei soggetti coinvolti, compresa l’Agenzia delle Entrate.
Di recente, a seguito di numerosi interpelli dei contribuenti, l’Amministrazione finanziaria è arrivata ad affermare che l’elemento dell’assoluta novità è un criterio fondamentale per il riconoscimento della spettanza del credito.
Tale interpretazione deriva, principalmente, dalle indicazioni contenute nel c.d. Manuale di Frascati, il quale individua il perimetro oggettivo della R&S individuando cinque criteri essenziali per inquadrarla, ossia:
- novità;
- creatività;
- incertezza tecnologica;
- sistematicità;
- trasferibilità.
Sulla base di tali criteri l’Agenzia delle Entrate ha intrapreso una vasta attività di controllo e accertamento con la quale contesta la legittimità dell’utilizzo del credito, verificando non solo l’effettività dell’attività R&S al fine di contestarne l’inesistenza, ma sindacandone anche la spettanza nel merito.
In tale quadro, le questioni controverse riguardano prevalentemente il requisito della novità e l’Agenzia ha chiarito che ai fini dell’agevolazione rimarrebbero escluse tutte quelle innovazioni che sono un semplice adattamento della tecnologia esistente e già diffusa (Risoluzione n. 46/E/2018).
I TERMINI E LE MODALITÀ PER L’ACCERTAMENTO
Nel caso in cui l’Agenzia non riconosca il requisito della novità provvede ad emettere atti di recupero del credito indebitamente utilizzato in compensazione, irrogando la corrispondente sanzione dal 100% al 200% della misura del credito stesso.
Un elemento importante da tenere in considerazione è il termine entro il quale l’Amministrazione finanziaria può procedere al recupero:
- in caso di credito “non spettante”, l’articolo 43 del D.P.R. n. 600/1973 prevede il termine di quattro anni successivi a quello in cui è stata presentata la dichiarazione;
- in caso di credito “inesistente”, l’articolo 27, comma 16, del D.L, n. 185/2008 prevede un termine di decadenza di otto anni dall’utilizzo del credito.
A tal proposito, la Corte di Cassazione ha evidenziato che un credito deve considerarsi inesistente quando manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo dello stesso (sentenze nn. 34444 e 34445 del 16 novembre 2021).
L’orientamento dell’amministrazione finanziaria
Sul punto l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, qualora le spese sostenute non siano ammissibili al credito d’imposta si configura in ogni caso un’ipotesi di utilizzo di un credito “inesistente”.
In altri termini, l’Amministrazione finanziaria sembra non fare distinzione tra credito “non spettante” e “inesistente”, dovendosi ritenere lo stesso sempre inesistente, con conseguente termine di decadenza per il recupero di otto anni.
Il parere del MISE
Riguardo alla potestà accertativa, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 31/2020 (che rinvia alle disposizioni di attuazione della disciplina in oggetto, contenute nel decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 27 maggio 2015), ha evidenziato che nell’ambito delle attività di verifica e di controllo può richiedere al Ministero dello sviluppo economico di esprimere il proprio parere.
Dal tenore di quanto indicato, la richiesta di parere tecnico al MISE sembrerebbe facoltativa e riferita ai casi connotati da un grado di tecnicismo elevato o da assoluta novità della questione.
La rilevanza penale
A ciò si aggiunga la rilevanza penale: l’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti per un importo annuo superiore a 50.000 euro è punito penalmente ai sensi dell’art. 10 quater, del D.Lgs. n. 74/2000.
LA GIURISPRUDENZA
A differenza dell’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria, la giurisprudenza di merito formatasi sulla questione ritiene necessario, ai fini della legittimità degli accertamenti, il preliminare parere del MISE, senza il quale l’attività degli Uffici deve ritenersi viziata da eccesso di potere.
Le Corti di Giustizia Tributaria, infatti, hanno sottolineato che l’attività di recupero deve essere supportata da elementi tecnici idonei a giustificarla.
In altri termini, l’Amministrazione finanziaria non avrebbe le competenze sufficienti per valutare se una spesa possa essere legittimamente considerata agevolabile o meno; competenze che l’Ufficio può acquisire solo mediante un preliminare parere tecnico reso dal MISE.